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Le immagini da Gaza, una speranza di mobilitazione e di stop alle bombe

Entro a gamba tesa in un dibattito in cui mi sento coinvolta poiché concerne un discorso affine al mio lavoro.

È giusto mostrare le immagini di quello che sta accadendo a Gaza? È corretto mostrare il dolore e le sofferenze dei bambini, in modo particolare?

Sì, io sono d’accordo.

E lo trovo essenziale in questo caso poiché, se così non fosse, noi occidentali avremmo un unico punto di vista molto selezionato e controllato.

I pochi giornalisti internazionali che ottengono il permesso di raccontare questa storia subiscono il filtro molto fitto del governo israeliano e niente può giungere a noi senza la loro supervisione.

Solo i giornalisti gazawi, che condividono l’orrore quotidiano della popolazione palestinese, senza avere nessun tipo di sconto, stanno raccontando con gli occhi di chi vive lì.

Ben vengano le immagini di Motaz Azaiza, Wissam Nassar, Belal Khaled, Plestia Alaqad ,Wael Al- Dhadouh, per fare solo qualche nome, che ci  arrivano attraverso le piattaforme social perché altrimenti, noi in Italia, saremmo praticamente fermi ancora alle brutture del  7 ottobre e alle storie personali degli ostaggi di Hamas.

Ci hanno mostrato le vite degli ostaggi israeliani dei kibbuz e del rave party scandagliandole minuziosamente, di cui ormai sappiamo vita e miracoli. Morte di meno, soprattutto se viene causata dal fuoco amico o dai bombardamenti indiscriminati.

Ed eccoci quindi al punto. Le immagini sono importanti perché raccontano le storie di quello che sta succedendo nella Striscia di Gaza. Umanizzano le vittime,  rendono la nostra coscienza più vigile, mettono in atto meccanismi di empatia. Risvegliano battiti umani che le sole parole non riuscirebbero a fare.

Io penso tantissimo a un video di Motaz Azaiza, dei primi giorni dopo il 7 ottobre. Il reporter è in auto con due bambini in corsa verso l’ospedale più vicino. Precedentemente i  bambini sono scampati a un bombardamento e sono stati ritrovati. Ma hanno evidentemente bisogno di cure urgenti.

È lo sguardo di uno dei due che mi ha travolto. Non piange, guarda nel vuoto, con la sua manina tocca l’altro bambino e poi Motaz per capire forse se si tratta di sogno o di  realtà. È così sotto shock che mi ricorda l’atteggiamento di un adulto. Ha del sangue sulla testa che scivola da un lato.

Il video finisce con il giornalista che rientra in auto dopo averli lasciati al pronto soccorso.

A me da allora viene in mente la sua vita: è morto lì? È sopravvissuto? Cosa gli è successo? È morto successivamente in un altro bombardamento?

Ecco questo, per me, significa restare umani e a questo serve l’immagine. Quando non ci sono più i numeri di una guerra ma le persone. E le senti così tanto da desiderare profondamente che sopravvivano, o meglio che vivano aldilà della nostra impotenza.

Questo dolore ci permette di reagire, di volere ardentemente la fine, di manifestare per questo. Nel nostro piccolo, nella nostra frustrazione, solo vedendo passiamo all’azione.

Ricordiamoci sempre che l’opinione pubblica americana fu scossa tantissimo dalla vista della bambina bruciata dal Napalm e fu motivo in più per chiedere di fermare la guerra.

Ogni giorno personalmente ringrazio la possibilità che ho di ricevere video e foto da questi giornalisti che oltretutto sono stati ammazzati  già in troppi.

Non sono un ‘esperta di geopolitica, non so cosa ci voglia per mettere fine alla guerra in Medioriente in una terra così martoriata e contesa. Questo, spero lo facciano meglio persone adibite alle soluzioni di pace.

Però qualcosa desidero e la chiedo: STOP ALLE BOMBE SUBITO.

Perché un fatto è certo e le immagini lo raccontano fin troppo bene, ed è  veramente inutile girarci intorno (anche perché non ci gira attorno nemmeno il governo israeliano che manifesta apertamente i propri intenti ), a Gaza è genocidio del popolo palestinese.






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